Da quanto tempo ci conosciamo, amico mio?
Forse da sempre, da quando si giocava a tirar calci alle
pietre.
Da quando il nostro mondo non era altro che il perimetro del
nostro paesello. La dove i colori che potevamo vedere erano quelli della realtà
che ci circondava. Tutto il resto era solo una collezione di banco e neri,
visti al cinema o alla tv.
Ma erano proprio quei “bianco e nero” che ci incuriosivano, che
aprivano e davano spazio a immagini, sogni, illusioni che solo noi avremmo
potuto colorare, dio solo sa quando e come.
Io guardavo la vita come si potrebbe guardare da una
finestra il panorama di una valle inesplorata.
E la guardavo dall’alto, non per presunzione, ma con la stessa
sensazione di come si guarda ad un nuovo giorno svegliandosi da un sogno esaltante.
Non mi faceva paura, e neppure mi ossessionava quella vista,
ma certo mi incuriosiva.
Vivevo un miscuglio di ansia e di angoscia verso la mia inadeguatezza. Non sapevo nulla delle mie capacità di esploratore verso quella vita.
Vivevo un miscuglio di ansia e di angoscia verso la mia inadeguatezza. Non sapevo nulla delle mie capacità di esploratore verso quella vita.
Non sapevo se quella vallata, quel panorama lo avrei
percorso con il solo obiettivo di conoscerlo, facendomelo scorrere addosso
senza nessuna possibilità di poterlo configurare, oppure se uscendo e
immergendomi nella realtà avrei avuto la forza, la capacità, il ruolo per poter
lasciare la mia impronta, per portare cambiamenti. Per poterlo modificare.
Quasi come si guarda un manifesto pubblicitario, un invito a
partire verso un viaggio programmato, con una data di partenza non ben
definita, non avendo ancora capito cosa volesse dire “partire”.
Era lo stesso panorama che condividevo con altri “ospiti” di
quella baita virtuale, ma avevo spesso un senso di inferiorità inconsapevole verso
quella gente che quel panorama lo guardava dalla mia stessa finestra, ma lo
commentava con tutt’altre parole.
Amici, uomini saggi, esploratori che già un pezzo di
percorso lo avevano iniziato mi sembravano appartenere ad un mondo che io non
avevo il previlegio di frequentare.
Gente che sapeva, che aveva idee, aveva risposte.
Li ascoltavo con un misto di ammirazione ed invidia. Ingenuamente
inconsapevole di quello avrei potuto o dovuto essere. Io non avevo risposte, avevo
solo domande, curiosità.
Io mi stupivo di ogni cosa, di ogni colore.
Ascoltavo e mi chiedevo perche’ non ero come loro. Perche’
non avevo le loro conoscenze, e soprattutto perche non riuscivo a trovare
dentro di me le loro stesse sicurezze, le loro certezze.
Affascinato da quelle discussioni a cui spesso non avevo il
coraggio di partecipare, ogni tanto volgevo lo sguardo fuori dalla finestra, e
quel panorama giorno per giorno cambiava per assumere contorni sempre più imprecisi, come i dettagli di un sogno che svaniscono con il passare del giorno.
Non c’era fretta, sembrava allora che la vita non avrebbe mai avuto fine.
Non c’era fretta, sembrava allora che la vita non avrebbe mai avuto fine.