venerdì 30 aprile 2010

Da piccolo volevo fare l'astronauta

Ogni bambino ha un sogno. 

Quando ero piccolo andavano di moda il pompiere, l’astronauta (in piena epopea lunare), il calciatore e in pochi casi il poliziotto.

Il mondo reale, quello dell’industria, dei media, della globalizzazione non solo non esisteva, ma non era neppure percepito… 
Io sinceramente speravo di fare l’astronauta, ma non ne ero proprio sicuro.

Ora, a distanza di molti anni, forse comincio a capire il motivo dei miei dubbi.

Ebbene sì, faccio il CIO (direttore sistemi informativi), ed è incredibile quante piccole cose in comune ci siano con il mestiere dell’astronauta.

Noi (CIO e astronauti) siamo sempre molto soli quando succede qualcosa. Siamo soli quando dobbiamo decidere cosa fare, pur avendo alle nostre spalle organizzazioni complesse.
Spesso non sappiamo bene perchè ci buttiamo nelle nostre avventure, ma lo facciamo per lo spirito di andare oltre sentieri conosciuti, per arrivare per primi, per provare l’emozione di qualcosa di nuovo, per sperimentare… 
Ma poi rimaniamo astronauti (e CIO) a vita.

Certo piacerebbe a un CIO (e forse a un astronauta) avere un sogno, aspirare a ruoli nuovi e diversi. Vedersi riconoscere le competenze non solo tecnologiche che abbiamo sviluppato, vestire panni diversi. 
Passare dietro la scrivania, quella dove siedono coloro che contano, che decidono. 
Perché chi più di noi conosce l’azienda in cui operiamo: i processi, le persone, il business?

E’ con questa consapevolezza che vorrei utilizzare questo spazio per proporre temi e provocazioni che vadano al di là delle tradizionali discussioni sulle nuove tecnologie, sul nuovo standard, sul mondo del 2.0…

“In Italia è impossibile innovare, si può solo resistere”, Josè Mourinho.

Sarà vero?